Immaginiamoci un Festival di opera e musica guidato da un visionario e coraggioso direttore d’orchestra che prova un’operazione che, riuscendo, avrebbe il pregio di demolire il primato di unica opera ungherese detenuto da The Bluebeard’s Castle. (David Toschi – operaclick.com)

Ipotizziamo ora di trovarci nella nuova situazione, non ancora compiuta ma altamente probabile, di riconoscere non più una sola, ma due opere ungheresi nel repertorio dei principali teatri d’opera del mondo.

L’operazione che Gergely Kesselyàk, direttore artistico del Bartok Plusz Opera Festival di Miskolc, ha congegnato per una ripresa moderna e rivisitata di Székelyfonò è di prendere i singoli materiali grezzi di questa folk song in un atto, affidarli al regista polacco Michael Znaniecki, per ricostruire su questi una narrazione coerente e comprensibile basata, come lo stesso Znaniecki dice: «sul personaggio centrale della casalinga vedova. Suo marito muore e lei ricorda assieme alla figlia i momenti importanti della loro vita».
«In fondo – prosegue Znaniecki – Székelyfonó fu concepita originariamente (nella prima edizione del 1924 nda) come una sequenza di canzoni popolari, senza alcun testo o libretto che li unisse. Ripartendo da quel punto, ma considerando anche le riprese del 1931 a Budapest e del 1932 alla Scala di Milano, si è cercato una narrazione molto semplice che rappresentasse però sempre quegli stessi temi universali trattati da Kodály: l’amore e l’odio, la paura e la morte, la nascita, la famiglia».

E così Székelyfonó di Zoltán Kodály, The Spinning Opera nella traduzione inglese, o La filanda magiara, come presentata quell’unica volta alla Scala nel ’32, prende una nuova vita, si presenta nel Teatro Nazionale di Miskolc nella sua nuova veste e tenta la rincorsa al repertorio, per affiancarsi quindi al Castello di Barbablù dell’amico e sodale Bèla Bartòk.

L’allestimento ha il palcoscenico diviso in tre segmenti verticali e ne utilizza l’ampia profondità per spostare avanti e indietro i due elementi principali della scenografia: una camera da letto in plexiglas trasparente dove il personaggio principale muore e un grande specchio, talvolta cornice di uno spazio non attraversabile fra il passato, il presente e il futuro. Nei due periferici si volgono le scene di contorno, prevalentemente ambientate nella bucolica campagna magiara, mentre è nello spazio centrale, dalle dimensioni leggermente più ampie, che si svolgono le scene principali.

Il cast è interamente affidato alla compagnia stabile di cantanti presso l’Hungarian State Opera House.
Nel ruolo della Casalinga, il soprano Erika Gál che affronta la difficilissima scrittura vocale di Kodaly (la tessitura prevede tre ottave buone con gravi da contralto nella prima parte della morte del marito) con buoni risultati e acuti pienamente centrati e solidi, dimostrando anche notevoli doti interpretative.

Il suo uomo, il “padrone” è ruolo breve ma anche questo ostico, affrontato dignitosamente dal baritono Zsolt Haja. La vicina, il contralto Bernadette Wiedmann, Il giovane, il tenore Adorján Pataki e La giovane, il sopranoOrsolia Sáfár se la cavano egregiamente con una tessitura che, come prima accennato, risulta sempre troppo ampia per i cantanti e dimostra ancora una volta le sostanziali differenze fra la scrittura per coro e quella per solisti, certo meno congeniale all’etnomusicologo, didatta e compositore Zoltán Kodály.
Balázs Kocsár ha guidato con sicurezza e precisione la Hungarian State Opera Orchestra and Chorus rispettando e agevolando in ogni modo il canto dei singoli protagonisti.

Efficaci le scene di Luigi Scoglio, graziosi e intimamente folkloristici i costumi disegnati da Magdalena Dabrowska, gioiose ed equilibrate le coreografie a cura di Juhász Zsolt.

Entusiastica accoglienza del pubblico di Miskolc che ha tributato a tutti numerose chiamate al proscenio.
Mai come in questo caso, i claim pubblicitari disseminati per Miskolc contenenti l'annuncio: The ribirth of Opera hanno trovato conferma e coerenza concreta.

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