The Rebirth of Opera (rinascita dell’Opera) annunciata dal Bartók Plus OperaFestival di Miskolc in questo 2017 sembra partita con le migliori intenzioni e con l’ulteriore nuova proposta di una ragtima-opera, a voler descrivere un universo complesso ed eterogeneo che da più punti di vista, anche lontanissimi fra loro, compone il panorama della ricerca verso i nuovi orizzonti per l’opera del terzo millennio. (David Toschi – operaclick.com, 02. 07. 2017.)
Non facciamo polemiche. Per alcuni, forse per molti, l’opera, come genere del teatro musicale, è finita almeno un secolo fa. Per molti altri, per tutti quelli che ancora ci stanno dentro e compongono con sacrificio e impegno nuove proposte, è il fatto teatrale più multimediale e moderno che si possa ancora elaborare.
Miskolc non è ancora la vetrina delle grandi opportunità per compositori contemporanei, pur celebri. Non è ancora in grado di investire di commissioni personaggi del calibro di John Adams o Marco Tutino, di Michel Jarrell , Thomas Adès, Louis Andriessen, ma rappresenta il primo confine fra la partitura cartacea e il palcoscenico per molti giovani, più o meni conosciuti, con le idee il più delle volte chiare ma anche un po’ confuse.
Ecco così che sul palcoscenico del Teatro Nazionale di Miskolc, arriva questa volta il tentativo in chiave ragtime. Musica da ballo con radici europee fuse con le danze post-tribali dei neri d’America, il ragtima è musica prevalentemente scritta, eseguita al pianoforte o da un’ensemble orchestrale a dominanza di fiati che imposta una melodia molto sincopata sorretta su un pervicace ostinato, ed è uno dei generi precursori e poi componenti il Jazz.
Quanto abbia realmente influito su Tamás Ittzés, compositore di A Lutherek (rag-time opera, The Luthers, nel titolo in inglese) la commistione fra musica colta occidentale ed il ragtime, non ci è dato sapere, e nemmeno ascoltando la sua composizione, ritengo, ci se ne possa fare un’idea.
A Lutherek, è un’opera scritta in modo assolutamente puro. Incorpora gli stili e i ritmi non solo del ragtime, ma di tutte le forme musicali diffuse fra i neri americani dalla metà dell’Ottocento in poi. Vi sono evidenze di blues, di swing, di jazz, di gospel e (ahinoi) di opera ottocentesca a descrivere ogni aspetto della vicenda narrata. Che è quella di due personaggi della Storia del Novecento, Martin Lutero e Martin Luther King che si incontrano in paradiso e filosofeggiano e discutono sulla salvezza, sulla grazia di Dio, sui conflitti e sulla loro risoluzione. Se il testo in ungherese non ha facilitato la comprensione delle singole questioni a dar più di un’indicazione hanno pensato una scena agile e intelligibile, firmata da Zsófia Mészáros ideatrice anche dei costumi, e una regia movimentata ma tendente al didascalico di Péter Gemza. Al piano terra di una costruzione, sulla sinistra del palcoscenico, sedeva l’intera orchestra guidata dal pianista, disposto in strada di fronte a loro; al centro si svolgevano le vicende teatrali che si dipanavano fino a raggiungere talvolta l’interno di una casa sulla destra, residenza di Coretta Scott, moglie di Martin Luther King.
Al piano alto della costruzione a sinistra, sopra il coro, una specie di stanza, aperta a terrazza, dove i due Martin confrontavano le loro idee.
Qualche buona invenzione teatrale permetteva alla compagnia tutta di bianchi di sembrar neri attraverso un efficace gioco di luci, non sempre riuscito in verità, che proprio nella sua fallibilità provocava l’estremo effetto speciale: quello di poter definire A Lutherek una dixie-opera (il dixieland è il termine che venne coniato per distinguere il jazz quando suonato da bianchi).
La prima assoluta di cui vi diamo conto è sembrata soffrire di qualche meccanismo da collaudare ulteriormente (anche in orchestra) e di una certa approssimazione nella definizione dei quadri. Incomprensibile quello in cui il soprano si mette a cantare arie d’opera come O mio babbino caro, il brindisi di traviata, non disponendo, peraltro, dello strumento necessario a farlo in modo pertinente.
Corretti ma non irresistibili gli interpreti: Kira Nagy nel ruolo di Coretta. Gergely Biri in quello di Martin Luther King, Marianna Mudrák era Lucy, Coretta fidanzata, mentre István Kovács è stato Martin Lutero e Ilona Sárközi-Nagy la narratrice.
Musiche eseguite da una migliorabile Bohém Ragtime Jazz Band e Coro diretto da Péter Gyülvészi.
Alla fine applausi per tutti ma anche una grande stanchezza per l’elevata durata dello spettacolo che ha sfiorato le tre ore per i due atti più intervallo. «La brevità, gran pregio» (Giacomo Puccini)