A milánói OperaClick zenei szaklap a Bartók Plusz Operafesztivál 2016 nyitóhangversenyéről, a Bartók-maraton produkcióról és a moszkvai Helikon opera Makropulosz-ügy előadásáról számolt be. A lap újságírója, David Toschi írásai eredeti nyelven olvashatóak.
Miskolc - Ungheria: Operafesztivál Bartók Plusz
Il Festival d’Opera di Miskolc, in Ungheria, ha, come suggerisce il titolo Operafesztivál Bartók Plusz, la caratteristica di svilupparsi sull’incardinamento all’estetica musicale di Bèla Bartók.
Compositore che ha dato alla luce una sola opera lirica, Il castello di Barbablù, ogni anno presente nel programma del Festival, Bartók rappresenta in sintesi la cultura diffusa del popolo ungherese, marginalmente ancorata al formalismo viennese dei tempi della monarchia austro-ungarica ma anche tenacemente intenzionata a reclamare le proprie radici e la propria autonomia espressiva attraverso l’affermazione dei caratteri popolari della propria terra.
Così è da intendersi la natura di un Festival musicale che fa quindi dell’appartenenza a una comunità specifica e allo studio e riproposizione delle proprie tradizioni un vero e proprio perno sul quale tutte le scelte artistiche sembrano essere fondate.
Questo faceva Bèla Bartók nel suo passato di pioniere dell’etnomusica e di grande musicista classico, questo ripropone tendenzialmente il Festival di Miskolc a lui intitolato che in questo 2016 ha proposto un nutrito cartellone di “iniziative di strada“, concretizzatesi in palchi per la città dove dal mattino si sono svolti concerti di musiche folkloristiche e popolari con gruppi, cori, orchestre e bande; improvvisi di arie liriche in spazi estemporanei; balletti e performance di vario tipo, dall’opera al jazz, dal pop al latinoamericano, senza soluzione di continuità dal 10 al 19 di giugno.
Miskolc, c’è da dirlo, non è un’esemplare cittadina ungherese dove una visita è d’obbligo e il pellegrinaggio ne fa tappa essenziale. È, Miskolc, cittadina paradigma delle contraddizioni di un Paese che ha da poco ricevuto la sfida del terzo millennio e punta ad affrontarla con l’energia necessaria a cavalcarne le dinamiche senza farsi sopraffare da esse, ma coinvolgendole anzi in un percorso di scambio e integrazione dei diversi patrimoni culturali, in questo caso musicali e drammaturgici.
In questo senso l’energia concreta e propositiva del Festival è elemento prezioso ed estremamente apprezzabile.
Nei primi tre giorni abbiamo assistito, di cui ve ne daremo conto in dettaglio, a un Gala lirico con la preziosa voce di Szonia Joncheva; a una Maratona Bartòk in cui si sono eseguiti i balletti Il mandarino meraviglioso e Il principe di legno e l’opera in un atto Il castello di Barbablù; e all’opera di Leos Janacek L’Affare Makropoulos.
David Toschi
Gala di presentazione del Operafesztivál Bartók Plusz
Il Ministro della cultura ungherese, il Sindaco della città e il Sovrintendente del teatro cittadino. Così la città di Miskolc ha presentato alla stampa e al pubblico accorso da un po’ tutto il territorio ungherese il Bartók Plusz Opera Festival, un vero e proprio evento per questa cittadina di poco più di centomila abitanti posta nel nord-est dell’Ungheria, a pochi chilometri dalla Slovacchia.
Un Festival, il Bartók Plusz, che oltre a proporre ogni anno una rappresentazione diversa del Castello di Barbablù, unica opera composta da Bèla Bartók, offre un impressionante calendario di manifestazioni, musicali, teatrali, corali, oltre ad alcuni interessanti convegni musicologici.
Inizio il 10 giugno, con il Concerto di Gala in cui la sorpresa non è tanto negli interpreti che comunque appassionano e convincono come il soprano ungherese Szonia Joncseva, già affermata interprete della pucciniana Mimì al Metropolitan di New York, ma una straordinaria ragazzina dodicenne, che presentatasi al proscenio due o tre volte con la sua arpa, ha definito uno dei personaggi più incantevoli che si possano immaginare. A far innamorare ogni persona presente dell’arpista Bianka Szauer non è stata né la sua tenera età, né il suo virtuosismo, né il suo carattere apparentemente docile e schivo. A incantare, quella sera, è stata la musicalità diretta, immediata, istintiva che il suono dello strumento è riuscito a diffondere in ogni angolo del teatro. Sono stati il senso del ritmo della giovane musicista e la sua estrema sensibilità musicale, il tocco e le dinamiche scelte, ad ammaliare e a rendere i brani proposti, dalla Passacaglia di Händel, ad Hasselmans, al Concerto di Vivaldi in Do maggiore, preziosi e unici. Bianka e la sua arpa hanno lasciato un segno indelebile sulla serata rendendola, sinceramente, indimenticabile.
2016 quindi, dal 10 al 19 giugno. Più di cinquanta eventi complessivi e, per una volta, il titolo Festival d’Opera è onorato. Perché sono sei le opere rappresentate in otto giorni. Numeri da brivido di piacere per gli “italian opera lover” in cerca di mete per le vacanze estive.
L’11 giugno è il giorno della Maratona Bartok con il Castello di Barbablu (vedi recensione);
il 12 L’affare Makropoulos di Leoš Janaček (leggi la recensione);
il 13 Il Gala per 9 tenori;
il 14 L’Edipo di George Enescu;
il 16 Creative Connection di Tamás Beischer-Mayó, nuova opera in prima mondiale:;
il 17 Carmen di George Bizet;
il 18 Arianna a Nasso di Richard Strauss.
Ci vediamo a Miskolc il prossimo anno?
Evento del 10 Giugno 2016
Maratona Bartók
L’allestimento del Castello di Barbablù, con le sue sette porte, ha già visto ogni forma di realizzazione scenica e rappresentando così una vera e propria prova di fantasia e originalità per qualsiasi regista vi si voglia confrontare.
Il Festival d’Opera di Miskolc BartokPlus ne propone ogni anno un allestimento che in questo 2016 è stato inserito in una Maratona Bartók composta dall’unico titolo operistico del musicista ungherese e dai suoi due balletti Il mandarino meraviglioso e Il principe di legno.
Ideato come una sorta di rappresentazione fatta essenzialmente da luci, proiettate ai lati del lungo palcoscenico tipo passerella da sfilata, le situazioni drammatiche proposte dal libretto di Bela Balázs sulle musiche di Bartók, sono descritte da fasci di luci iridescenti che mutano colori e disegni sullo svolgersi del piano narrativo.
Un lavoro predisposto dal regista Géza M. Tóth, che ha avuto il pregio di gestire efficacemente il difficile spazio del Palazzo del ghiaccio che ha ospitato la Maratona.
Palcoscenico disposto lungo la pista da Hockey e Orchestra spiegata in fondo, il pubblico si trovava a vedere davanti o dietro del lungo palcoscenico, senza quindi né scene, né fondali, né quinte, e a trovare all’estremità destra, o sinistra, la solida e consapevole Pannon Philharmonic, una massa orchestrale composta da più di novanta elementi diretti magistralmente dal direttore ucraino Lyniv Oksana, uno dei più straordinari talenti recentemente affermatisi nel panorama dell’Opera internazionale.
Ungheresi i due protagonisti. A interpretare il Duca Barbablù il basso transilvano Bálint Szabó, voce dal timbro nobile, in grado di dominare l’intera tessitura, più baritonale invero, con sicurezza. La sua terza moglie, Judit, è interpretata dal mezzosoprano Ildikó Komlósi, la cantante ungherese più nota e apprezzata dai pubblici operistici di tutto il mondo, in grado di presentare un personaggio vocalmente ineccepibile, misurato drammaturgicamente su un carattere di sorpresa contenuta o, per meglio dire, forse consapevole (mi si perdoni il mezzo ossimoro). La scansione chiarissima e il canto sempre perfettamente intonato della Komlósi, permettono alla sua Judit di esprimere con completezza ciò che il testo chiede: rappresentare una donna innamorata che per conoscere il suo uomo è disposta ad aprire, una dopo l’altra, le sette porte che, con le diverse luci e colori che ne scaturiscono, ritraggono l’universo di Barbablù fino poi a rivelarne la sua completa essenza egoistica e, probabilmente, misogina. Il sapiente gioco delle luci e dei colori rappresenta infine non più esclusivamente l’architettura drammatica dell’opera ma anche le colorazioni crude, taglienti e adamantine della voce del grande mezzosoprano, protagonista fra poche settimane dell’Aida che riaprirà la Stagione dell’Arena di Verona.
La bella rappresentazione semiscenica del Castello di Barbablù è stata contornata dai due balletti più famosi composti da Bèla Bartók.
Il Mandarino meraviglioso è una Suite da concerto progettata da Bartók in una pantomima in un atto. La vicenda che il compositore ungherese descrive in musica, è sottesa a un testo di Melchior Lengyel, un drammaturgo suo coetaneo, che narra una vicenda di sfruttamento minorile. «In un covo di delinquenti, tre furfanti costringono una ragazza bella e giovane ad adescare dei passanti per poi derubarli dei loro averi. Il primo è un vecchio laido, il secondo un giovane senza soldi, ma il terzo è un sano cinese. Quest’ultimo è un buon colpo, e la ragazza lo intrattiene con una danza, risvegliando il desiderio del mandarino fino a farlo pulsare appassionatamente. La ragazza indietreggia terrorizzata. I delinquenti lo attaccano, lo derubano dei soldi, lo soffocano con delle coperte, lo colpiscono con una lama ma invano: non possono sopraffare il mandarino, gli occhi del quale guardano la ragazza con bramosia e passione. La sensibilità femminile viene in aiuto della ragazza che appaga il desiderio del mandarino, il quale cade a terra finalmente senza vita.” Così lo stesso Bartók ne riassume la trama.
L’Orchestra Pannon Philarmonic dimostra la sua secolare esperienza (ha più di duecento anni di vita) restituendo agli ascoltatori un flusso sonoro in grado di soddisfare ogni più esigente orecchio.
Sezioni compatte, precisione negli attacchi e un suono estremamente duttile alle variazioni dinamiche hanno permesso a Lyiniv Oksana, rivelazione della serata, di dominare gli imponenti flussi sonori con ogni pertinenza semantica dettata dalla partitura, di illustrare con eccezionale evidenza i colori e caratteri sempre netti così come Bartók li ha ponderati.
Il principe di legno è infine un balletto in un atto composto nello stesso periodo delle due opere precedentemente recensite (dal 1911 al 1919). Vede la luce in piena guerra (1916) ed è ancora una volta affidato alla penna di Bèla Balazs (già librettista del Barbablù).
La vicenda, descritta da musica e azione coreografica, racconta di un principe che intende sedurre una bella principessa ma è sempre ostacolato nel suo intento dagli interventi di una fata che grazie agli elementi della natura, pilotati allo scopo, rendono vano ogni suo tentativo. Solo quando entrambi riusciranno a spogliarsi di ogni condizione esogena (mantello e corona, gli orpelli principeschi) e rimarranno nudi a confronto con l’acqua e la foresta, potranno reciprocamente amarsi.
Dotato di un ricco patrimonio etnofonico, acquisito in anni e anni di registrazioni e lavoro sul campo, Bartók riesce a definire una partitura ricchissima di colori e di elementi percussivi che superano, anche grazie all’agilità dei linguaggi musicali meno colti, la crisi tonale tardo-romantica rivelando soluzioni metriche più libere e nuove combinazioni armoniche.
L’esecuzione della lunga partitura del Principe di legno, che dura un po’ più di un’ora, è stata presentata in due parti, inziale e conclusiva della serata. Riallacciarne il discorso, dopo Il Castello di Barbablù e Il mandarino meraviglioso, è stato meno difficile del previsto.
Esito quindi eccellente e pubblico plaudente!
La recensione si riferisce allo spettacolo dell'11 Giugno 2016
David Toschi
Věc Makropulos
Il mito della cantante d’opera, della diva dalla voce irresistibile e irripetibile andò in scena per la prima volta a Brno nel 1926. Věc Makropulos (“L’affare Makropulos”), così come concepito dal compositore moravo Leóš Janáček, è stato riproposto in una delle sue più pertinenti letture: quella di Dmitrij Bertman (prodotta dal Teatro Helikon di Mosca) al Teatro Nazionale di Miskolc, in Ungheria, in occasione dell’Opera Festival Bartók Plusz 2016.
Festival, come si è già descritto nello speciale in home page, che ha anche il pregio di accostare a produzioni proprie alcune fra le più significative realizzazioni dei teatri europei e internazionali (nel 2014 toccò alla Napoli milionaria del Teatro del Giglio di Lucca), il Bartók Opera Festival permette ai cittadini di Miskolc e agli ospiti del festival di confrontare in pochi giorni le più contemporanee visioni del panorama lirico-operistico.
Il Věc Makropulos qui andato in scena ha il merito di avere proposto un modello di realizzazione che, scevro dagli eccessi umoristici e dalle insistenze narrative, legge il lavoro di Janáček come un’intima vicenda esistenziale cui l’universo estraneo al personaggio di Elina si propone in modo soltanto decorativo.
Non è il giallo della formula, insomma, a interessare Janáček, ma il dramma intimo della sua eroina, quell’Elina Makropulos, figlia di quell’Hieronimos, medico personale dell’imperatore Rodolfo II che su lei, sulla sua bambina, dovette sperimentare l’elisir di lunga vita che le impone la non trascurabile età di 337 anni.
Nella protagonista non c’è tensione verso l’iperlongevità, ma un costante confronto fra la vita e la morte.
Elina è stanca della sua lunga esistenza, irrigidita e algida, insensibile quanto cinica nei confronti di chi, come il resto del mondo, nasce, vive e muore nella culla del proprio secolo. Elina si accorge ancora della propria umanità quando sentirà prossima la fine. E sarà la morte e non l’amore a sciogliere la principessa di gelo di Janáček.
Allestimento collaudato e molto apprezzato, questa produzione dell’Helikon si distingue per la coerenza degli elementi decorativi e la suggestiva scena unica che cambia soltanto in pochi dei suoi fondamenti, riuscendo tuttavia a proporre ambienti differenti e credibili.
Alla conduzione chiara ed essenziale di Konsztantin Hvatinec sono perfettamente corrisposte, da parte dell’Orchestra e Coro dell’Helikon, le tessere del mosaico inquieto intessuto da Janáček e composto in quest’occasione con efficacissimi effetti sonori che richiamano all’urgenza dell’enigma, all’irrealtà del teatro così come solo i migliori organici possono, sapientemente, rappresentare.
Nel Makropulos dell’Helikon c’è tutto il caleidoscopio musicale sintetizzato dall’autore ceco, che anche il comparto vocale ha saputo rendere estremamente efficace trasformando il declamato in parola, modellando il canto energico sui singoli segmenti musicali.
L’opera, nonostante gli elementi fantastici sottolineati da alcuni momenti più lirici, resta comunque ben legata al realismo di Janáček, capace di connettere all’incedere della vicenda i motivi continuamente variati, scomposti e ricomposti.
Straordinaria la prova attoriale di Natalia Zagorinskaya interprete insuperabile di una Elina/Emilia Marty alle prese con l’incoscienza prima e la consapevolezza poi di una vita umana irraggiungibile e raggiunta. Il suo corpo e le sue espressioni si sono perfettamente adeguate al personaggio e al suo cambiare, mentre la voce, dal timbro gradevole ma anche aspro e nervoso quando richiesto, ha seguito perfettamente le linee musicali richieste dalla parte.
Ottime anche le prove di Dmitri Khromov, Albert Gregor di spessore, e quella di Dmitry Yankovsky, Prus, che ha supplito a qualche debolezza timbrica con dimostrato mestiere e duttilità caratteriale.
L’intero cast è apparso in perfetta coerenza con le scelte registiche e musicali. Bravissima Marina Kalinina, Kristina effervescente quanto la giovane età e la sua ambizione dovevano dimostrare; bravo Alexander Klevich, Janek dalla voce da maturare ma dalla sicura presenza attoriale; buono il Vitek disegnato con mezzi sufficienti da Andrey Palamarchuk. Da ricordare ancora l’Avvocato, ben interpretato da Dmitry Skorikov; il Conte dal timbro chiaro di Mikhail Seryshev; il Macchinista del basso Dmitry Ovchinnikov, preciso e sempre udibile negli insiemi; la donna delle pulizie di Marina Karpechenko; la sempre intonatissima cameriera di Ekaterina Oblezova e la moglie di Hauk benissimo interpretata en travesti dal disinvolto e caratteristico Alexander Borodovsky.
Pieno e meritatissimo successo cui il pubblico ha tributato interminabili applausi ritmati, alla maniera europea!
La recensione si riferisce alla recita del 12 Giugno 2016
David Toschi